Perché trovare lavoro all’estero sembra l’unica soluzione?
Ogni giorno che passa, sempre più persone si convincono che andare via dall’Italia per trovare lavoro all’estero, rappresenti ormai l’unica soluzione. È davvero così?
Troppo spesso purtroppo, si parla in termini negativi degli italiani, occupati o inoccupati, che cercano un’alternativa al di fuori del Belpaese: alcuni sono additati come scansafatiche, altri addirittura come individui poco patriottici, alcuni ancora come persone che mancano di coraggio.
Ma siamo sicuri che la scelta di cercare lavoro a Londra, in Germania o in Australia, non sia per molti l’unica via d’uscita per una situazione divenuta ormai insostenibile?
Proviamo ad analizzare un caso reale.
Parliamo di Andrea, un ragazzo laureato in lettere, con il massimo dei voti, che abbandona il suo settore di studi per specializzarsi in una materia che possa dargli qualche possibilità in più.
Andrea è uno di quelli che non vuole arrendersi, che non si ferma ai primi ostacoli, ma che decide di mettersi in discussione per provare, non diciamo a far fortuna, ma a sopravvivere nel suo paese, dove ha la famiglia, gli amici, la fidanzata. Lui, come tanti altri, è tra quelli che decidono di inventarsi un lavoro, di mettersi in proprio, aprendo la partita IVA, per offrire le sue consulenze.
Lavoricchia, non tanto da diventare indipendente dalla famiglia, ma riesce a vedere qualche guadagno: come la maggior parte dei ragazzi alla soglia dei 30 anni, si arrangia come può.
Le spese però sono tante, troppe, soprattutto se si considerano le tasse da pagare. Andrea quindi, non smette di cercare comunque lavoro in qualche realtà più grande, invia curriculum ovunque, sostiene numerosi colloqui, fino a che non gli si presenta una buona occasione: un lavoro nel settore che ha sempre amato, e che spera di fare proprio per la vita.
Le condizioni non sono delle migliori: si parla di uno stage, con pochi soldi, in una città che non è la sua. Ma proprio perché non è uno scansafatiche (farà il cameriere la notte se necessario) e perché ha una famiglia alle spalle (almeno frutta e verdura potrà averla dall’orto di mamma e papà), accetta la proposta.
Parte così la trafila del trasferimento e della ricerca di una stanza in condivisione: niente che sia impossibile da sopportare, soprattutto se il traguardo finale è la speranza di trasformare uno stage in un lavoro a tempo pieno e in un’azienda molto importante e conosciuta.
Come finisce questa storia?
Ovviamente se ne stiamo parlando, l’esito non è dei migliori. Pochi giorni dopo essersi trasferito, ad Andrea viene comunicato che il suo curriculum vitae è stato rifiutato: troppe esperienze e qualifiche per fare uno stage!
Perde così la sua possibilità, a causa di quelle stesse qualifiche ed esperienze che gli avevano permesso di essere preso in considerazione.
C’è ovviamente qualcosa che non va, in tutto il sistema però. Un sistema che presenta ormai offerte di lavoro solo poco sicure, sfruttamenti mascherati da stage e tirocini, miseri rimborsi spese millantati come grandi occasioni: perché c’è pur sempre la crisi, e 300 € al mese fanno gola a tutti.
Che cosa si può dire ora ad Andrea?
Certo, di non arrendersi, di persistere, di tentare ancora e ancora, perché alla fine, un’occasione si presenterà. Ma se quella che ha appena avuto fosse stata l’occasione che attendeva?
Alla fine Andrea ha deciso, tenterà ancora, ma non in Italia: proverà a trovare all’estero, dove spera che la parola data valga come un contratto, ed esperienze del genere non sono per niente all’ordine del giorno.
Comincia a tradurre il curriculum vitae in inglese, e cerca davvero l’occasione della tua vita.
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